mercoledì 24 novembre 2010

Balzac e la piccola sarta cinese

BALZAC E LA PICCOLA SARTA CINESE
 Balzac e la piccola sarta cinese è il primo romanzo scritto da Dai Sijie, pubblicato in Francia nel 2000.



La storia è ambientata sulla montagna Phoenix, nella provincia del Sichuan, dove due ragazzi di città sono mandati in rieducazione per conoscere la dura vita dei contadini.
Sono gli anni della Rivoluzione Culturale, basata sulla mobilitazione di giovani ed universitari costretti ad autocritica e dimissioni, ed a periodi di rieducazione presso i villaggi contadini più sperduti.
Il narratore è un ragazzo di diciassette anni molto riservato, figlio di due “nemici del popolo”, che esce fuori dalla sua timidezza solo grazie all'aiuto del suo violino, che gli permette di distaccarsi dal mondo intorno ed alleviare le preoccupazioni. Il suo migliore amico si chiama Luo, figlio di un dentista che osò criticare Mao Tse Tung dopo avergli curato i denti, e perciò anch'egli definito “nemico del popolo”. I due giovani affrontano con fatica i pesanti incarichi che sono loro affidati: lavorano nelle miniere e nelle risaie sotto il sole cocente, trattati come “marmocchi di ricchi” e relegati in una piccola stanza sopra un porcile. A cambiare le loro vite sarà l'incontro con la figlia del sarto, “la più bella della montagna”, una giovane ragazza non istruita della quale entrambi di innamoreranno. Un giorno i due ragazzi scoprono nella stanza di un loro amico, chiamato Quattrocchi, una valigia piena di libri proibiti che susciteranno loro di nuovo la voglia di leggere, di sognare, di sperare. Consapevole del redimibile potere della grande letteratura, Luo giurerà di “trasformare la piccola sarta” attraverso la lettura, donandole una nuova visione della vita. Da semplice contadina, la piccola sarta, si fa desiderosa di conoscere il mondo, e si lascierà alle spalle il passato, perchè Balzac le ha fatto capire che “la bellezza di una donna è un tesoro inestimabile”.









Dai Sijie nasce a Chengdu, in Cina, nel 1954. Dal 1971 al 1974 viene spedito nella provincia del Sichuan in un campo di rieducazione, al ritorno dal quale potè concludere i suoi studi universitari di storia dell'arte.
Nel 1984 vinse una borsa di studio in Francia, dove tutt'oggi vive.
E' uno scrittore e regista affermato che, con Balzac e la piccola sarta cinese, ha venduto, solo in Francia, oltre duecentomila copie.


Dai Sijie conobbe la fine della Rivoluzione Culturale, quando la rivolta era meno violenta e la vita nelle montagne era “più assurda che crudele”, come afferma l'autore stesso. 
La vera rivoluzione la vissero i suoi genitori, la loro fu una storia lunga e dolorosa, iniziata nel 1966 e destinata a durare, successivamente, fino al 1976.


La sofferta sopravvivenza di Dai Sijie è raccontata e romanzata in questo suo primo romanzo, una storia della quale fu più testimone che protagonista: fu un suo amico a trovare i romanzi rubati e a raccontarli ad una contadina, che nel testo diventa la piccola sarta. La ragazza realmente si trasformò, ma il suo viaggio sarà una scelta lenta e tormentata, che la porterà più volte a tornare sui suoi passi. 
Sono simili alla realtà anche i genitori dei due protagonisti, definiti “nemici del popolo”, ma, come ricorda ironicamente lo scrittore, “il 5% dei cinesi erano nemici del popolo ed il 95% erano rivoluzionari – noi siamo stati fortunati, eravamo in quel 5%”.
La Rivoluzione Culturale scoppiò negli anni tra il 65 ed il 69, quando Mao Tse Tung si pose come obiettivo quello di conquistare il potere ed eliminare i suoi avversari politici. Nel giro di poco tempo intraprese un'offensiva scatenata dapprima contro gli ambienti letterari della capitale, poi contro le scuole e l'università, per poi degenerare in attacchi contro i simboli del passato, colpevoli di essere interpreti di una vecchia tradizione che ormai si configurava apertamente in contraddizione con la nuova generazione.Iniziò così la prima fase di mobilitazione “volontaria” di gruppi di giovani che si trasferirono nelle campagne per rieducarsi attraverso il contatto con le masse.Furono esperienze forti, che caratterizzano la generazione di artisti che oggi sono importanti in molti campi umanistici e scientifici.Come ricorda Dai Sijie, “anche nel campo dell'arte, scrittori, pittori, musicisti, tutti gli artisti famosi sono stati rieducati e non è un caso”.

Federica Agnese

Sherlock a Shanghai

CHENG XIAOQING
SHERLOCK A SHAN

Nella Cina repubblicana degli anni venti, a Shanghai si svolgono le indagini di Huo Sang, un investigatore privato che, assieme al suo assistente Bao Liang, distica e risolve i casi più intricati.
Una figura determinata e decisa che, protagonista dei sette racconti polizieschi descritti nel libro, si muove in una Shanghai in mutamento, testimone di crimini e di ingiustizie, ma, allo stesso tempo, luminosa di ricchezza e modernità.
In un periodo in cui sono in atto drastici cambiamenti culturali e politici prodotti dal confluire di idee e valori stranieri che influenzarono soprattutto le grandi aree urbane, si presenta così il paesaggio che fa da sfondo alle vicende di Huo Sang, lo Sherlock Holmes cinese, icona della nuova narrativa poliziesca in Cina.

Biografia
Cheng Xiaoqing nasce nella vecchia Shanghai nel 1893, ed è il più famoso autore di detective stories cinesi della prima metà del Novecento.
Ebbe un'infanzia molto povera, dovette abbandonare presto gli studi e, all'età di sedici anni, fu assunto in una fabbrica di orologi. Iniziò così a leggere molto ed a scrivere; pubblicò due novelle i cui guadagni gli permisero di iscriversi ad un corso di lingua inglese presso l'YMCA di Shanghai.
Nel 1915, Cheng accettò l'incarico di insegnante di dialetto Wu, o Shanghaiese, e continuò a studiare. La sua padronanza dell'inglese migliorò al punto di consentirgli una stretta collaborazione con Sir Arthur Conan Doyle per la traduzione in cinese classico dei suoi racconti.
Il lavoro di traduzione migliorò anche il suo impegno creativo, e così iniziò a comporre proprie opere letterarie, la prima delle quali fu “La Rondine della Cina meridionale” nel 1919.


Gli anni che Cheng Xiaoqing dedica alla traduzione di Sherlock Holmes hanno certamente influenzato le idee e lo stile che lo scrittore cinese fonda nelle sue opere tanto innovative per la letteratura del suo Paese.
E' possibile quasi tracciare un parallelo tra la Londra di fine Ottocento e la Shanghai degli anni '20, tra Huo Sang e Bao Lang e Sherlock Holmes e Jonh Hamish Watson, tra il loro appartamento in Aiwen Road piuttosto che in Baker Street.
Cheng parla di una Cina che sta cambiando, una Cina che vive la nascente Repubblica, animata dal fiorire di ideali e riforme, come di critiche e fallimenti.
Una realtà che sposta l'attenzione della narrativa che, allontanandosi dalla tradizione, ritrova il piacere dell'intrattenimento.
La narrativa, infatti, divenne un mezzo naturale per accogliere le incursioni culturali dall'Occidente, si fece portatrice del “rinnovamento” tanto sperato dai riformatori cinesi del tempo.
Attraverso l'esempio di Shanghai, Cheng mostra il passaggio dal vecchio, dall'immobile, dal decadente al nuovo, al dinamico, al moderno.
Egli è un autore occidentalizzante, che accolse l'innovazione senza mai rifiutare il suo passato o trascurare le difficoltà del suo Paese.
Cheng Xiaoqing faceva parte di quegli scrittori di narrativa di evasione che era nota con il dispregiativo di “racconti del sabato”, ed erano considerati inferiori alla narrativa di autori dagli scritti politici, ma tutto ciò non fermò la voglia di Cheng di raccontare, di suggerire sguardi critici, di mostrare come, migliorando sé stessi, si migliora il proprio Paese.

Federica Agnese

domenica 21 novembre 2010

Napolitano a Pechino: l'economia mondiale

NAPOLITANO A PECHINO: LA CINA COME "LOCOMOTIVA DELL'ECONOMIA MONDIALE"
 
  


Tra i vari motivi che hanno portato il Presidente Napolitano in visita in Cina un posto particolare occupano quelli di politica economica. Sulla scia del crescente avvicinamento tra la regione Marche ed il mercato cinese nasce l'obiettivo di intensificare la cooperazione con il Paese di Mezzo.
La regione Marche, infatti, ha affiancato alle iniziative celebrative, promosse e favorite dal legame storico e culturale dei due paesi, uno sviluppo di forti sinergie con la Cina, accelerando l'avvio di scambi economici, culturali e istituzionali. "Per i cinesi il profilo istituzionale conta molto. (...) Perciò ci siamo presentati come sistema: regione, camera di commercio, università, ricercatori, tutti insieme" dichiara il Presidente della Regione Marche Gian Mario Spacca. L'obiettivo non è solo quello di stringere un rapporto che, oggi, sul piano internazionale ha molta influenza, quanto quello di cogliere le opportunità che la Cina offre affinchè il suo mercato possa sopperire e dare nuove risorse alle piccole e medie imprese marchigiane. "La Cina oggi ci può insegnare molto, non è solo contraffazione. (...) E' un Paese in crescita, con nuove classi di reddito. Un'area strategica per le nostre imprese, che invece nei mercati tradizionali, italiano ed europeo, incontrano molte difficoltà. Ma non si tratta di delocalizzazione: andare a produrre lì a basso costo per vendere in Italia. Si tratta invece di internazionalizzazione: produrre in Cina i beni per quel mercato, reinvestendo poi gli utili di cassa, che così tornano in Italia" continua il Presidente Spacca. Durante il primo semestre del 2010 le esportazioni delle Marche verso la Cina hanno registrato un aumento del 22% rispetto allo scorso anno, puntando soprattutto sui settori degli elettrodomestici e meccanica, per un valore di 15 e 13 milioni di euro. Una politica, quella della regione italiana, che pare funzionare. "La nostra è una strategia di difesa attiva per l'innovazione e l'incremento della competitività delle nostre imprese. Per raggiungere l'obiettivo seguiamo tre strade: internazionalizzazione, esportazione e attrazione di investimenti cinesi nelle Marche" ha spiegato Spacca mostrando come la propria regione si apra e si espanda verso l'Oriente. Il resto dell'Italia non è in stallo, ma sta di fatto che gli italiani in Cina non fanno quasi più notizia. Soltanto da poco tempo, ben 129 imprese locali hanno ricevuto il via libera del Ministero del Commercio Estero cinese per investire in Italia, e così dalle piccole acquisizioni già concluse di Haier per lo stabilimento di frigoriferi in Veneto, Zoomlion per le macchine di edilizia della Cifa, l'investimento del gruppo Qianjiang con la Benelli di Pesaro, ora contiamo anche l'accordo della Huawei con la Vodafone per un progetto di banda larga nel nostro Paese, e l'arrivo della Industrial & Commercial bank of China (Icbc) che sta aprendo una sede a Milano. Si può parlare adesso di salto di qualità. Il Presidente Giorgio Napolitano, in visita di Stato a Pechino, in un discorso alla Scuola Centrale del Partito Comunista Cinese, ha parlato della difficoltà dell'Europa di riconoscere la realtà della Cina come economia di mercato. "Gli enormi progressi cinesi non si misurano solo nella sfera economica. Il cammino intrapreso dalla Cina sulla via delle riforme politiche, del rafforzamento dello Stato di diritto, del rispetto dei diritti umani, così come dell'apertura e liberalizzazione dei mercati, è di fondamentale importanza per un'armoniosa integrazione in un sistema internazionale aperto e per una piena sintonia con l'Europa. Sono profondamente convinto che sia nell'interesse cinese portare avanti, in piena autonomia, questo processo" ha dichiarato Napolitano invitando i cinesi a "non sottovalutare l'Europa" e la potenzialità del suo progetto di integrazione regionale. L'Europa ha affrontato con successo un lungo percorso di integrazione che l'ha proiettata da protagonista sulla scena mondiale, ma motivazioni profonde di un altro carattere ne inibiscono ancora il funzionamento. "Abbiamo abbattutto molte barriere statali e istituzionali per riscoprire remore radicate più profondamente dentro di noi. Queste barriere sono spesso psicologiche. Vanno in controtendenza alle trasformazioni mondiali che rendono necessaria una "più Europa, non meno Europa" e che richiedono l'effettivo, conseguente riconoscimento del cambiamento intervenuto ed in atto negli equilibri mondiali" ha concluso il Presidente della Repubblica Italiana. Il viaggio diplomatico di Giorgio Napoitano in Cina ha accompagnato il monito, il messaggio di augurio non solo all'Italia, ma all'intera Europa, di poter stabilire "legami forti e duraturi di cooperazione". "Qui in Cina, sia l'Italia che l'Europa hanno una partita importante, il futuro" ha annunciato in chiusura Napolitano.

Federica Agnese

Anno Culturale della Cina in Italia

ANNO CULTURALE DELLA CINA IN ITALIA



Il lungo corteo di lanterne rosse che orna i lati di Via dei Fori Imperiali mostra il calore che Roma ha manifestato nell'accogliere il premier cinese Wen Jiabao. Oltre che per motivi di politica internazionale, la presenza del premier ha sancito l'avvio dell'Anno della cultura cinese in Italia, una proposta nuova che mira a stimolare l'interesse nei confronti della Cina della Penisola Italiana.
Il progetto è coordinato ed organizzato dall'Onorevole Giuliano Urbani, Presidente del Comitato per l'Anno Culturale della Cina in Italia.“Il programma prevede numerose iniziative volte a promuovere la conoscenza della Cina in Italia e si sviluppa in un momento di grande successo nella storia dei rapporti dei nostri due Paesi che festeggiano, il 6 novembre 2010, 40 anni di relazioni diplomatiche”, ha introdotto l'Ambasciatore cinese Sun YuXi. Il piano ufficiale coinvolge 9 Dipartimenti governativi cinesi, 22 Enti ed Autorità locali, oltre ai Ministeri degli Esteri, della Cultura, dell'Istruzione, dello Sviluppo Scientifico, l'Ente nazionale del Turismo e molte realtà locali di città e provincie.Al momento sono state vagliate centro iniziative ufficiali che, oltre a promuovere scambi politici, diplomatici ed imprenditoriali, incoraggino anche l'attenzione verso la cultura cinese (il teatro dell'Opera di Pechino e del Sichuan, concerti e spettacoli di musica e danza tradizionale cinese e anche di arti marziali cinesi). L'incontro tra i due grandi Paesi ha molti punti d'interesse comune, come no: chissà che la Cina non voglia soppraffare la sua fama di “mostro economico” e che l'Italia non voglia riconfermare il suo interesse economico e culturale, lontano da diverse ambizioni politiche.In fondo, molte sono le similitudini e le contrarietà nei rispettivi propositi esteri: rispetto del diritto internazionale, impegno nella valorizzazione delle organizzazioni internazionali, rifiuto di ambizioni di egemonie sul piano mondiale, rispetto dell'indipendenza degli Stati e del principio di non ingerenza negli affari interni di questi, e così via. L'unico debole è la poca conoscenza reciproca, limite prevalentemente dell'Italia, che soffre della scarsa diffusione della lingua cinese stessa.Sulla scia dell'entusiasmo del coordinatore Giuliano Urbani, l'Italia farà grandi passi avanti in questo senso: “sono molte le iniziative che bollono in pentola e molte sono il frutto della cooperazione tra Rai, Rai8, Rai International e la CCTV. E anche sul fronte del cinema stiamo lavorando a una collaborazione congiunta voluta espressamente dai cinesi. (…) La verità è che i progetti nascono lungo il percorso. Più ci conosciamo, più sorgono nuove iniziative sino-italiane”.



Federica Agnese

martedì 16 novembre 2010

Napolitano chiude la mostra di Ricci a Macao

La Cina di un gesuita :
 il lungo viaggio di Matteo Ricci

Il gesuita Padre Matteo Ricci ha aperto la strada dello scambio interculturale tra Oriente ed Occidente e si festeggiano oggi i 400 anni dalla sua morte.
Sbarcato a Macao nel 1582, Li Madou, questo il nome cinese che scelse, dopo tre anni si stabilì a Nanchang, nella provincia Jiangxi, e solo nel 1588 sarà ricevuto per la prima volta alla corte di Pechino, dove risiedette definitivamente dal 1601.
L'opera di evangelizzazione, di cui si fece portavoce, lo portò a farsi “cinese tra i cinesi”, a vestire i panni di buddhista o indossare gli abiti dei letterati confuciani; studiò ed ammirò la cultura classica che riuscì ad acquisire grazie alle sue conoscenze matematiche, astronomiche e cartografiche. Motivato dall'osservazione che “qui si fa più con i libri che con le parole” condì la sua padronanza della conversazione cinese con dotte citazioni dei loro classici.
Grazie alla sua adesione alla cultura e alla civiltà della Cina, Ricci tracciò un sentiero di dialogo e conoscenza tra le due grandi culture, quella occidentale e quella orientale.





“Incontro di civiltà nella Cina dei Ming” è la mostra che si è conclusa il 31 ottobre a Macao, dopo la sua esibizione, nell'ordine, a Pechino, Shanghai e Nanchino.
La mostra documenta l'eccellenza e l'arte della cultura dell'Impero Ming attraverso l'esposizione di duecento opere, alcune delle quali segnarono il viaggio di Padre Li Madou, e provengono dai principali musei cinese ed italiani.


Napolitano chiude la mostra Ricci a Macao

La mostra è dedicata al missionario gesuita Matteo Ricci ed è stata realizzata dalla Regione Marche sotto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana, il patrocinio del Ministero degli Affari Esteri e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali. L'accurata selezione del contenuto della mostra è stata supervisionata da un'apposita Commissione presieduta dal direttore dei Musei Vaticani, Antonio Paolucci.
La commistione di opere italiane e cinesi ricostruisce gli eventi e ripercorre le orme di Matteo Ricci, mostrando al mondo il solido ponte che stabilì tra Occidente e Oriente.
Sono presenti, infatti, l'Italia di Raffaello con “L'eterno e angeli”, olio su tela proveniente dalla Galleria Nazionale dell'Umbria di Perugia; le testimonianze delle passioni di Ricci per lo studio, con una pagina autografa dell'opera “Della entrata della Compagnia di Gesù e Christianità nella Cina” dall'archivio storico della Società di Gesù a Roma; per la scienza e la tecnica, con “L'orologio solare orizzontale” di Erasmus Habermel dalla collezione Koelliker di Milano; per la cartografia, con la gigantografia “Misteriosa mappa visiva delle due forme” stampata a Pechino nel 1603; per la religione, con il bronzo dorato della dinastia Ming “Sakyamuni”; per l'oggettistica, con bruciaprofumi in bronzo, porcellane blu e bianche di Jingdezhen, regno di Wanli; solo per fare pochi esempi.
In tale occasione, il Presidente della Regione Marche, Gian Mario Spacca, con il curatore della mostra Filippo Mignini ed il dirigente del servizio internazionale della Regione Marche Raimondo Orsetti, hanno accolto la visita del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al Macao Museum of Art.
Il presidente, accompagnato dalla moglie Clio e dal figlio, ha voluto omaggiare la figura di Matteo Ricci visitando la mostra e deponendo una corona sulla sua tomba.
“Insegnava che nessuno può dare lezione ad altri, ma piuttosto accostarsi con comprensione e lungimiranza ad un mondo diverso” così lo ricorda il Presidente della Repubblica Italiana che, il 27 ottobre, è andato nel cimitero di Zhalan, nell'area che oggi appartiene all' Administrative College di Pechino, a rendere omaggio alla tomba del gesuita marchigiano.
“La visita di Giorgio Napolitano alla tomba di Ricci – ha dichiarato il Presidente del Comitato celebrazioni ricciane Adriano Ciaffi – rappresenta il riconoscimento alto dell'attualità e della rilevanza di tale figura ed il rinnovato incontro tra due civiltà e culture, avviato da Ricci più di 400 anni fa, nel cammino verso la collaborazione e la convivenza pacifica tra i popoli. (…) Non poteva esserci una conclusione migliore di quest'anno dedicato alle celebrazioni di Padre Matteo Ricci, che l'omaggio del Presidente della Repubblica quale riconoscimento alla grandezza del gesuita maceratese.”
A conclusione della visita culturale di Giorgio Napolitano, il Presidente della Regione Gian Mario Spacca lo ha così salutato : “La visita del Presidente Giorgio Napolitano è motivo di grande orgoglio e segno di grande considerazione per un'initiziativa culturale che contribuisce a rafforzare i legami con la Cina, nell'anno in cui si celebrano i 40 anni delle relazioni diplomatiche tra Italia e Repubblica Popolare Cinese.”





Federica Agnese

Arte e storia del Kung Fu





ARTE E STORIA DEL KUNG FU


Dal 13 al 22 ottobre si sono svolti i campionati mondiali di Kung Fu tradizionale cinese
(第九屆中国武当国际旅游节). La competizione ha avuto luogo a Shiyan, nella provincia Hubei, a pochi chilometri dalle montagne sacre di Wudang, una piccola catena montuosa, inevitabile meta di quanti, turisti o religiosi fedeli, sentono il richiamo della tradizione e degli incantevoli racconti che animano quei sentieri sperduti.
Sin dai tempi antichi sono stati edificati, sulle numerose cime di questo maestoso gruppo montuoso, monasteri taoisti, centri accademici di ricerca, insegnamento e pratica della meditazione, delle arti marziali cinesi, della medicina tradizione cinese.
Gli anni successivi alla Rivoluzione Culturale (1966-1976) sono stati anni di ricostruzione o restaurazione, e solo attorno a pochi centri si stanno costituendo nuove realtà attive dei monaci.


                  


L’ARTE MARZIALE IN CINA
“Se mi accorgo che qualcuno mi guarda con odio, non reagisco. Mi limito a fissarlo negli occhi, avendo cura di non trasmettergli alcuna sensazione d’ira o pericolo. E il combattimento, prima ancora di cominciare, è già finito. Il nemico da battere è dentro di noi. Le arti marziali non significano violenza, ma conoscenza di sé stessi.”
(Wang Wei, Maestro di Kung Fu e Tai Chi)

L’arte marziale (武术, wushu) è una disciplina legata al combattimento, ma che raccoglie determinate pratiche e tecniche fondate su principi fisici, culturali e filosofici.
Questa disciplina ha origine in Cina negli anni della dinastia Zhou ( XI-XIII secolo a.C. ), e solo sotto la successiva dinastia Han (206-220 d.C.) tali tecniche di lotta vennero considerate arte e furono chiamate Chi Ch’iao, che significa “abilità e talento”, o Shou Po, ovvero “mano che colpisce a pugno”.
I monaci, allora, cercavano di prendere le virtù delle discipline guerriere lasciando la mentalità della guerra e le tecniche “dure”, affinchè la loro vita contemplativa coincidesse con il rafforzamento dello spirito.
La leggenda vuole che, in origine, giunse al tempio di Shaolin (少林), ai piedi dei monti Song Shan, nel regno di Wei, un monaco indiano di nome Bodhidharma. Egli iniziò a predicare un nuovo orientamento al  che comprendeva anche lunghi periodi di stasi meditativa. Come aiuto per affrontare tali prove, insegnò ai monaci del tempio diverse tecniche di respirazione che sviluppassero la forza e la capacità di autodifesa necessarie per sopportare anche lunghe ore di meditazione.
Si crede che da questi insegnamenti sia derivato il dhyana, o scuola meditativa del buddismo, chiamata Chan dai cinese e Zen  dai giapponesi.
E’ su tali esercizi che nasce la tecnica di combattimento Shaolinquan (少林拳), o “lotta del tempio di Shaolin”. Il tempio Shaolin è stato, infatti, un punto di contatto importante tra la pratica meditativa buddista e la nascita delle arti marziali.

Va ricordata anche un’altra scuola che, assieme a questa, è considerata punto di riferimento del kung fu tradizionale cinese, ed è la scuola di Wudang.
E’ un centro di ispirazione taoista e, come narra la leggenda, fu istituito dal monaco Zhang Sanfeng (张三丰), di cui la scuola conserva la statua al suo interno.
I 33 complessi taoisti che sorgono sulle cime dei Monti Wudang (武当山, Wudang Shan) furono edificati per volere dell’imperatore Yongle (dinastia Ming, 1368-1644) e videro ben tredici anni di lavori.
E’ in questo paesaggio magico, dominato dal Feng Shui (风水), l’arte geomantica taoista cinese, che si compie la ricerca dell’immortalità.
La struttura comprende il Tempio delle Nuvole Viola, raggiungibili dalle lunga scala composta di 6500 scalini, dove soggiornano l’Abate You Xuande, massima autorità taoista in Cina, e gli altri monaci.
“Qui ci alleniamo e soggiorniamo. Ci sentiamo come a casa. La sera arriva il maestro You, porta con sé una grande carica energetica. Ceniamo con riso ed ortaggi prodotti dai monaci e ascoltiamo i suoi racconti. E’ buio pesto e c’è un silenzio che nutre lo spirito. Svolazzano mille lucciole. Lui dice di lasciarle passare. Sono le anime dei nostri maestri, perché da queste parti si dice che i grandi saggi taoisti Lao Tzu (老子) e Zhang Sanfeng non siano mai morti. C’è chi giura di vederli passare di tanto in tanto tra queste sacre vette”, sono le parole del maestro Manca, che aggiungono luce e meraviglia a questi luoghi misteriosi.


                                   




L’ARTE MARZIALE IN OCCIDENTE
In Occidente l’interesse per le arti marziali dell’Asia Orientale è iniziato alla fine del XIX secolo.
Con l’incremento dei rapporti commerciali tra America, Cina e Giappone, maggiori sono le influenze anche sul piano sociale-culturale. Le prime dimostrazioni di arti marziali compaiono negli spettacoli vaudeville, ed è la prima volta che il pubblico occidentale assiste ad una rappresentazione simile.
Durante gli anni settanta, la Cina versava in una situazione politica ed economica che le impediva contatti diretti e proficui con l’occidente, in diversi campi, e probabilmente anche per questa ragione si diffusero prima le arti marziali proprie di altri paesi asiatici, come il Giappone e la Corea
Un motivo di contatto, in questo caso con il Giappone appunto, è la Seconda Guerra Mondiale, che determina la presenza dei militari statunitensi sul territorio giapponese e l’adozione dell’intero sistema delle arti marziali, come il Karate e il Judo.
Dalla Corea, invece, l’esercito statunitense accolse la principale arte del Taekwondo.
Nel frattempo era ancora molto problematico il confronto diretto con la Cina, non esistevano validi criteri di paragone per stabilire la veridicità o meno delle affermazioni e delle modalità di pratica dei singoli individui, per cui l’unica documentazione disponibile erano i film provenienti da Hong Kong. Alla luce di ciò, a partire dalla fine degli anni ’70, la Repubblica Popolare Cinese inviò una delegazione di atleti di massimo livello di Wushu in un tour mondiale di esibizioni, allo scopo di dar esempio e far conoscere all’Occidente la pratica del Wushu moderno sportivo. Le esibizioni toccarono anche l’Italia nel 1980 e nel 1982.
Con l'apertura della Cina all'Occidente negli anni '80, molti praticanti di kung fu, impressionati dalle dimostrazioni viste direttamente o indirettamente,si recarono personalmente nella Repubblica Popolare Cinese ad apprendere il Wushu attingendo dalla fonte originale, e dunque trasmisero a loro volta agli appassionati del proprio paese, contribuendo così alla prima divulgazione su scala mondiale del Wushu moderno sportivo.


Federica Agnese

venerdì 12 novembre 2010

L'aquila e il dragone

I DUE SIMBOLI DI UN GRANDE IMPERO, L’AQUILA E IL DRAGONE

LA MOSTRA

Lo scorso 8 ottobre ha aperto al pubblico la mostra “I due Imperi. L’Aquila e il Dragone” presso il Foro Romano di Roma, seconda tappa dopo quella milanese a Palazzo Reale.
L’esposizione ha luogo in occasione della celebrazione dei 40 anni di relazioni bilaterali e diplomatiche tra Cina ed Italia, occasione che ha visto la presenza del premier cinese Wen Jiabao in visita ufficiale nella capitale.
La mostra è il frutto del lavoro che ha visto impegnati il Ministero per i Beni e le Attività Culturali della Repubblica Italiana e lo State Administration for Cultural Heritage della Repubblica Popolare Cinese, collaborazione che apporterà anche la realizzazione di due progetti di musealizzazione: quello del nuovo Museo Nazionale della Cina di Piazza Tiananmen, che riaprirà la prossima estate, che contribuirà all’inaugurazione di un museo statale della cultura italiana (vetrina della società e della storia dell’Italia) e l’offerta di uno spazio espositivo nelle Sale Monumentali del Palazzo di Venezia ospitante un museo statale della cultura cinese.
E’ la prima volta che i due più importanti Imperi della storia sono messi a confronto e molto interessante ne è il prodotto.
LA STORIA
L’Impero cinese nasce nel 221 a.C. per mano del re dello stato di Qin, Ying Zheng, che unificò il Paese e assunse il titolo di Qin Shi Huangdi (Primo Imperatore della dinastia Qin). L’adozione dei termini Huang e Di, che erano allora utilizzati per indicare i grandi imperatori della più remota antichità, fu un chiaro messaggio che Ying Zheng volle mandare: infatti profondi saranno i cambiamenti e grande l’eredità che lascierà alle dinastie successive.
L’Imperatore morì nel 210 a.C. e, dopo vari passaggi di potere, nel 206 a.C. Liu Bang, duca di Pei, nella provincia di Jiangsu, trasferita la capitale a Chang’An, si proclamò Imperatore della nuova dinastia Han, assumendo il nome di GaoZu.
Entrambe le dinastie favorirono l’espansione territoriale, il commercio, l’organizzazione degli apparati amministrativi e la struttura compiuta della società.
Lontano da queste realtà, in Europa, comincia ad emergere la civiltà romana che, solo nel 27 a.C. diventerà Impero. Il conferimento del titolo di “Augusto” ad Ottaviano lo rende arbitro e padrone dello Stato e dà avvio alla storia millenaria del grande Impero Romano.
Il confronto tra queste due grandi realtà storiche è l’ulteriore avvicinamento del famoso binomio Oriente ed Occidente che, mai più di ora, è lontano solo geograficamente.
Due Imperi che non si sono mai toccati, ma che da sempre sono a conoscenza dell’altro. Due mondi che ora sono presentati con la stessa chiave storica ed archeologica che ne mostra l’unicità.



DAI PRIMI ACCENNI DI VICINANZA AD OGGI

I primi contatti della Cina con l’Occidente avvennero sotto la dinastia Qing, che regnò dal 1636 al 1912, con l’arrivo dei gesuiti e delle flotte portoghesi, spagnole e olandesi. Partirono immediatamente scambi commerciali: gli europei vendevano tessuti di cotone, stagno, piombo ed i cinesi tè, seta, medicine e porcellane. Lunghi e difficili sono i percorsi che hanno compiuto l’uno e l’altro per giungere al tardo 1970, anno in cui le negoziazioni e le relazioni tra i due “mondi” erano già più diplomatiche ed equilibrate.
Il rapporto, che quest’anno festeggia i 40 anni di attiva continuità, tra Italia e Cina ha inizio, pertanto, nel 1970.
Più precisamente, il 29 gennaio 1969, l’allora Ministro degli Affari Esteri, l’Onorevole Pietro Nenni, dichiarava in nome del Governo della Repubblica Italiana, di riconoscere il Governo della Repubblica Popolare Cinese come unico governo legale dell’intero popolo cinese.
Il 6 novembre 1970 i rappresentati dei due Paesi firmavano a Parigi il comunicato congiunto sul ristabilimento delle relazioni diplomatiche.
Da quel momento Cina ed Italia si sono strette in una viva collaborazione su piani governativi, economici e sociali.
Precedentemente a questa data, l’Italia si sforzò di concludere esclusivamente accordi commerciali, e così l’Eni ne firmò uno nel 1958 per la vendita di fertilizzanti azotati ed il governo di Roma, nel 1964, ne concluse un altro per l’apertura di agenzie commerciali nei due Paesi, solo per fare due esempi.

Giunta la ricorrenza del 40° anniversario di tale rapporto, il Primo Ministro del Consiglio cinese Wen Jiabao si è recato a Roma per incontrarsi con il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il Presidente del Senato Renato Schifani ed il Presidente della Camera Gianfranco Fini.
L’incontro del primo giorno ha avuto sede in Villa Madama, al termine del quale il Presidente Silvio Berlusconi ha elogiato “gli attuali ritmi di crescita della Cina”, sottolineando che “presto l’economia cinese sarà la prima economia del mondo”, ed ha concluso con le seguenti parole: “Mi auguro che la nostra collaborazione possa portare a un interscambio tra i due Paesi di 100 miliardi di dollari, rispetto agli 80 inizialmente stabiliti: anzi, ci diamo un traguardo di 100 miliardi per puntare a 1202. (…) L’Italia non deve guardare alla Cina con timore, ma come una opportunità: continueremo a guardare al mercato cinese come un grande mercato capace di assorbire i nostri prodotti e accogliere le nostre imprese”.
Il discorso di Wen Jiabao definisce la condivisione tra Italia e Cina di “una storia e una cultura millenaria che hanno influenzato le civiltà”, citando tra gli altri le figure di Marco Polo ed il gesuita Matteo Ricci, ma è arrivato il momento di “promuovere ulteriormente gli scambi e la cooperazione in ambito culturale”, fornire “nuovi contributi al dialogo e alla coesistenza armoniosa tra due antiche civiltà e di approfondire la conoscenza reciproca dei nostri due popoli”.
“La Cina è meno conosciuta in Italia di quanto l’Italia lo è in Cina. Questa è una lacuna che è urgente colmare. Lo impongono le nostre ottime relazioni bilaterali ed il ruolo cinese sulla scena internazionale”, ha risposto il Presidente del Consiglio italiano.
Ulteriore conferma giunge dalle parole dell’Ambasciatore della Repubblica Popolare Cinese in Italia, Ding Wei: “In questi decenni non è cresciuto solo l’interscambio commerciale, ma anche quello culturale. L’Italia è sempre più conosciuta ed amata in Cina. Non è un caso che il Padiglione italiano all’Expo di Shanghai sia il più visitato dopo quello cinese, che ci siano circa 10.000 studenti cinesi che studiano in Italia e che dalla Cina arrivino nel vostro Paese circa 400.000 turisti, quando negli anni Settanta erano appena 1.000”
Rimane fondamentale promuovere, attraverso iniziative culurali, la conoscenza reciproca e, attraverso accordi intergovernativi, i settori economici, giudiziari, culturali, scientifici, ambientali e finanziari.
E’ questa la conclusione a cui giungono il premier italiano Silvio Berlusconi ed il premier cinese Wen Jiabao al termine della visita, salutandosi con l’obiettivo di incrementare “i rapporti bilaterali attraverso una sempre crescente collaborazione in tutti i settori”.


 
                                                                                                     Federica Agnese

giovedì 11 novembre 2010

Il premio Nobel Liu Xiaobo

IL SIMBOLO DI UN NOBEL,
LIU XIAOBO E LA CINA

Liu Xiaobo è una delle figure più importanti della storia della Cina degli ultimi venti anni.
Nasce nel dicembre del 1955 a ChangChun, nel Nord-est della Cina; è uno scrittore e sostenitore della difesa dei diritti umani sulla scena nazionale del suo Paese.
Lo scorso 8 ottobre gli è stato conferito il Premio Nobel per la Pace per “i suoi sforzi costanti e non violenti in favore dei diritti dell’uomo in Cina”.
La reazione del governo cinese è immediata e decisa: “Quel premio è stato dato ad un criminale”. Da un anno, infatti, Liu sta scontando una condanna ad undici anni di reclusione in una prigione del Nord-est della Cina.
La presa di posizione del governo cinese è ferma, ma l’impedimento alla consegna del premio non può non scatenare polemiche che portano molte nazioni alla difesa di quella voce discordante che si è sempre battuta per la libertà d’espressione per il proprio popolo, voce che ha fatto di Liu il vincitore del Premio RSF (Reporters sans frontieres) 2004 per la libertà di stampa.

Liu Xiaobo è uno dei più grandi oppositori e sostenitori di cambiamenti politici all’interno del Partito Comunista.
Impegnato in una rivolta non violenta a tutela dei diritti umani in Cina, Liu fu arrestato e condannato più volte per la sua attiva partecipazione ad azioni pacifiste, la rivolta di Tiananmen per prima dove, secondo il Partito Comunista Cinese, fu una delle “mani nere” che manovrarono gli studenti nella rivolta, e nel 1991 fu condannato con l’accusa di “propaganda ed istigazione controrivoluzionarie”, ma senza essere incarcerato.
Dopo tre anni in un campo di “rieducazione attraverso il lavoro”, continuò a criticare il regime autoritario con saggi ed articoli che vedranno pubblicazioni anche all’estero, determinando la loro diffusione clandestina in Cina.
In ricordo del 60° anniversario della proclamazione della Dichiarazione universale dei diritti umani, il 10 dicembre 2008, egli sarà il promotore di “Charta 08”, un appello alla libertà di espressione, al rispetto dei diritti umani e alle elezioni libere.
Per questa adesione e promozione di riforme politiche volte alla democratizzazione della Repubblica Popolare Cinese, verrà arrestato nel dicembre 2009 con l’accusa di “incitamento alla sovversione del potere dello Stato” ad undici anni di prigione e due anni di interdizione dai pubblici uffici.

“L’onore appartiene a chi ama la libertà” afferma l’artista cinese di fama mondiale, Ai Weiwei, cogliendo il fondamento stesso dell’assegnazione del Premio Nobel per la Pace rivolto a tutte le ”persone che hanno promosso la fratellanza tra le nazioni, l’abolizione o la riduzione degli armamenti e che si sono sforzate di promuovere iniziative di pace”.
A sostegno di questi principi, il Comitato per il Nobel ha manifestato le proprie motivazioni nella seguente dichiarazione: “Durante gli ultimi decenni la Cina ha fatto enormi progressi economici, forse unici al mondo, e molte persone sono state sollevate dalla povertà. Il Paese ha raggiunto un nuovo status che implica maggiore responsabilità nella scena internazionale, che riguarda anche i diritti politici. L’articolo 35 della Costituzione cinese stabilisce che i cittadini godono delle libertà di associazione, di assemblea, di manifestazione e di discorso, ma queste libertà in realtà non vengono messe in pratica (…). Per oltre due decenni Liu è stato un grande difensore dell’applicazione di questi diritti, ha preso parte alla protesta di Tiananmen nell’ ’89, è stato tra i firmatari ed i creatori di Charta 08, manifesto per la democrazia in Cina. Liu ha costantemente sottolineato questi diritti violati dalla Cina. La campagna per il rispetto e l’applicazione dei diritti umani fondamentali è stata portata avanti da tanti cinesi, e Liu è diventato il simbolo principale di questa lotta”.

In risposta a tale comunicazione, il governo cinese ha sentenziato che “si tratta non solo di mancanza di rispetto verso il sistema giudiziario cinese, ma mette anche un grosso punto interrogativo sulle loro vere intenzioni (…). Qualche politico sta cercando di sfruttare il premio per attaccare la Cina. Se qualcuno cerca di cambiare il sistema del nostro Paese in questo modo, commette un grave errore”.
Fattivamente, e parallelamente, il governo ha imposto un black out informativo sulla notizia, inviando note a tutti gli organi di stampa affinchè non si parlasse dell’evento e, di conseguenza, a telegiornali, siti Internet e giornali.
La censura è attivamente denunciata dai Reporters sans Frontieres come grave insulto all’internazionalità del Premio Nobel per la Pace.
Il portavoce del Ministero degli Esteri cinesi, Ma ZhaoXu, sostiene che “Liu Xiaobo è un criminale condannato dal sistema giudiziario cinese perché ha infranto le leggi del Paese”.

Le notizie trapelate sulla vittoria di Liu sono opera dei netizen cinesi che, al momento della proclamazione, hanno invaso Twitter e, in pochi secondi, hanno scatenato una reazione a catena di commenti e condivisioni di posts che dimostrano come, per molti, il significato rivelante che ne risulta è la possibilità di un futuro migliore.
Lo è per gli studenti, per i lavoratori, per gli stessi dissidenti interni alla Cina ed esterni.
Sono significativi, infatti, gli interventi, tra i primi, di Ai Weiwei, il quale dichiara che “per il popolo cinese è il giorno più bello da sessanta anni ad oggi (…). L’onore appartiene a chi ama la libertà, agli amici, ai familiari, ai colleghi di Liu, amato anche dalle forza anti-cinesi”; o ancora di Renee Xia, responsabile internazionale di Chinese Human Rights Defender, la quale è euforica nel dichiarare che “il premio è un riconoscimento non soltanto per Liu, ma per tutti i difensori dei diritti umani in Cina che ora aspettano di essere liberati”; dell’attivista pechinese tra i firmatari di      Charta 08, Zhang ZuHua, che chiede riforme pacifiche al governo cinese: “è stato come rendere omaggio a tutti i prigionieri di coscienza e ai migliaia di cinesi che hanno avuto il coraggio di firmare quel documento”; di Wei Ping, attivista e professore alla Beijing Film Academy, che reclama “Liu non ha sofferto invano, l’intero mondo è con lui e con tutti i prigionieri di coscienza in Cina”.
Dall’estero la voce risuona vicina al pensiero dei più, e così Harry Wu, creatore della Fondazione Laogai, associazione volta a diffondere informazioni sui campi di rieducazione attraverso il lavoro, dichiara che “è tempo che Pechino liberi Liu e ascolti le sue proposte di cambiamento”.
Le ultime due voci che, per importanza, confermano il contrasto che tale decisione ha scatenato, sono quelle di Teng Biao, avvocato democratico attivo in Cina, e Fu Ying, viceministro degli Esteri, il primo convinto che “il premio incoraggerà sicuramente la società civile della Cina e sempre più gente si batterà per la pace e la democrazia. E’ un aiuto per la Cina nella costruzione di una società pacifica, democratica e basata sulla legge”; e la seconda che, al contrario, teme un peggioramento delle relazioni tra Cina e Norvegia. Alcuni mesi fa, infatti, il viceministro cinese avvertì il capo dell’Istituto Nobel che il conferimento a Liu del premio avrebbe danneggiato la relazione tra le due nazioni.
“Non voglio dare troppa importanza alla cosa” ha affermato il ministro degli Esteri norvegese Jonas Gahr Stoere, “ma non è un segreto che la Cina da anni lancia avvertimenti che un Nobel per la pace ad un dissidente cinese avrebbe portato a relazioni negative”.
Il ministro ha, ciononostante, riconosciuto che l’assegnazione del premio al dissidente cinese non avrebbe dovuto causare reazioni ostili da parte di Pechino contro la Norvegia, dal momento che “il Comitato per il Nobel è indipendente dal governo norvegese”.
A conferma del vicendevole legame che unisce i due Paesi, aggiunge: “La Norvegia ha una buona ed estesa cooperazione con la Cina. Le nostre relazioni sono solide, e coprono tutte le aree che collegano i nostri Paesi. Le discussioni sui diritti umani è una parte delle nostre relazioni”.




La Norvegia conferisce il premio Nobel per la pace, la Cina si chiude, i cinesi si dividono: il governo censura ed il popolo si ribella, alcune nazioni e le associazioni umanistiche rivendicano la libertà degli individui.
Una lotta senza interruzione quella per i diritti umani, e non solo in Cina.
Tra le associazioni operative in campo, Amnesty International approva l’assegnazione del premio: “Il premio Nobel per la pace a Liu Xiaobo è un riconoscimento importante. Speriamo che terrà accesi i riflettori sulla lotta per le libertà fondamentali e per i diritti umani per cui Liu Xiaobo e altri attivisti cinesi si battono”, asserisce Catherine Baber, vicedirettrice del Programma Asia Pacifico dell’associazione.
I diritti alla vita, alla sicurezza della propria persona, alla libertà di pensiero, di opinione e di religione, sono, da anni, tra i temi più discussi e con più discussioni, soprattutto. Ma torniamo in Cina.
Liu, in un articolo per Reporters sans Frontieres, nel marzo 2004, ha scritto: “I media elettronici in Cina e all’estero aiutano a superare la censura imposta dal Partito Comunista Cinese (…). In questo gioco di divieti, risposte ed ulteriori divieti, lo spazio della gente per il diritto di espressione è in crescita millimetro dopo millimetro. Più la gente avanza, più le autorità diventano repressive. Non è lontana l’epoca in cui la frontiera della censura potrà essere abbattuta e la gente domanderà pubblicamente la libertà di espressione”.
L’articolo 33 della Costituzione cinese enuncia che lo Stato garantisce e tutela i diritti umani; l’articolo 35, di seguito, stabilisce che i cittadini godono delle libertà di associazione, di assemblea, di manifestazione e di discorso. Quanto di tutto ciò è rispettato e fatto rispettare?
C’è, allora, da interrogarsi circa il livello d’attenzione che la Cina pone nei confronti di questo problema e quale spessore gli è attribuito all’interno della propria dimensione sociale.
Quella della Cina è l’opinione di un Paese in cui ciò che conta è la supremazia della comunità sull’individuo, motivo per cui è più ampia la tolleranza verso limitazioni e disagi del singolo quando ciò non mina l’equilibrio e l’assetto della società stessa.
Da questo punto di vista la questione non è inaccettabile, ma diversa.
Nel 1948 si compie un primo passo importante: viene firmata la Dichiarazione universale sui diritti umani.
La formulazione sancisce i diritti individuali, civili, politici, economici, sociali, culturali che puntino ad assicurare un benessere collettivo e diffuso, diverso è garantire la funzionalità di tali difese anche per aspetti individuali.
A questo proposito molti sono gli sforzi che la Cina ha compiuto per adeguarsi ai nuovi standard internazionali.
Sono state approntate riforme del codice penale e del codice civile, formulate leggi su diversi temi quali la lotta alla corruzione, la legislazione in materia di abuso di potere e di giustizia amministrativa, correttezza di processi, tutela delle minoranze etniche e linguistiche.
Molte, anche, sono le iniziative di sensibilizzazione sulla tematica della protezione dei diritti civili e politici.
Sicuramente è stato di aiuto, a questo grande traguardo, la strategia di cooperazione che l’Unione Europea e la Cina hanno approvato a partire dal       1 aprile 2002. E’ nato un dialogo, tra le due nazioni, che ha accompagnato i vari processi nei campi economici, politici, ma anche sociali.
L’Europa è particolarmente sensibile alla questione del rispetto dei diritti umani e, come in ogni relazione scambievole, l’uno preme l’altro affinchè si trovi un compromesso che porti vantaggio ed efficienza al legame.
La Cina è in continua crescita, avanza sotto lo sguardo attento del mondo. Si sviluppa, si ingrandisce, e si affaccia con impeto sulla scena internazionale. Spesso si troverà a scontrarsi sulle grandi questioni che, come quella sui diritti umani, vedono schierati quasi tutti i grandi Paesi in difesa di un unico principio.
La diversità del Paese di Mezzo dal resto del mondo non lo faciliterà nei rapporti con le altre nazioni, ma c’è pur sempre un prezzo da pagare se si vuole raggiungere un difficile obiettivo.
Disse Confucio: “Se si guida con le leggi e si mantiene l’ordine con i castighi, il popolo si asterrà dalla colpa, ma non avrà coscienza alcuna; se si guida con la virtù e si mantiene l’ordine per mezzo della morale, il popolo, allora, avrà coscienza”.                                                                                                                     

Federica Agnese