giovedì 7 novembre 2013

La strada segreta del Dragone


La Città Proibita al giorno d’oggi non è solo il simbolo di un antico potere, rappresenta vestigia antiche da cui possiamo trarre infinite informazioni.
Rientra in quei siti archeologici, come l’italiana Pompei, da proteggere ad ogni costo, piccoli micro-mondi fermi, sospesi in un tempo che ci sembra lontanissimo, eppure presenti in un “qui e ora” visitabile dai turisti.

Questi luoghi hanno la capacità di celare informazioni per secoli, segreti magari taciuti ai tempi della loro costruzione e quindi difficili da scovare. Le pietre della Città Proibita ne hanno custodito uno fino a poco tempo fa, e il loro mistero è stato svelato dal professor Howard Stone, docente di ingegneria meccanica ed aerospaziale all’università di Princeton.
Il professor Stone si era posto un interrogativo sull’antica città costruita agli albori della Dinastia Ming, un interrogativo scomodo e che trovava unica risposta in una vecchia storia considerata leggenda: qualcosa a che vedere con una strada di ghiaccio.

Stone e il suo team hanno così cominciato a lavorare su alcuni blocchi di pietre della Città Proibita, e incrociando i loro studi con un progetto di ricerca delle fonti, hanno scoperto un documento vecchio di cinquecento anni. Traducendolo, vi si menzionava un metodo inusuale per trasportare pesi estremi attraverso lunghe distanze: caricare i suddetti pesi su blocchi da far poi scivolare su una via di ghiaccio realizzata per l’occasione.
Se così fosse, alcune pietre della Città Proibita sarebbero state trasportate da una distanza di 70 km dal sito odierno.

La città fu costruita nel XV secolo, la ruota era diffusa in Cina già dal 1500 a.C., ma gli studi del team del professor Stone e dei suoi colleghi Jiang Li e Haosheng Chen hanno evidenziato come per una simile mole da trasportare i carri fossero altamente sconsigliati.
La mole di riferimento non era fatta di semplici blocchi di pietra, ma da quelli che sono considerati veri e propri tesori. Il primo, l’enorme bassorilievo che si trova sulle scalinate della Corte Esterna, dietro il Palazzo della Preservazione dell’Armonia. Il bassorilievo in questione pesa circa 200 tonnellate ed è unico nel suo genere in tutta la Cina. Fu ricavato da un unico pezzo di pietra di 16,57 metri di lunghezza per 3,07 metri di larghezza per 1,7 metri di spessore. Il secondo, il bassorilievo della rampa sud, si trova davanti al Palazzo della Suprema Armonia, e fu realizzato stavolta in due blocchi, pecca abilmente nascosta – altro mistero svelato solo nel XX secolo, quando le intemperie e il tempo hanno reso visibile il punto d’intersezione delle due lastre.




Lo studio che il professor Stone conduce è sicuramente innovativo, perché affronta, potremmo dire, l’Antico dal punto di vista del Nuovo, la storia vista con l’occhio dello scienziato.
Concentrandosi sulle dinamiche e sui calcoli, il professor Stone e il suo team si affidano alle fonti, molto rare per quanto riguarda il trattamento di questo argomento, e realizzano in laboratorio esperimenti che potrebbero o meno confermare le loro teorie.

Il lavoro di laboratorio si basa sull’analisi delle caratteristiche del ghiaccio, e il team ha calcolato che non solo sarebbe stata necessaria una pianificazione precisissima del lavoro da svolgere, ma la presenza di almeno 300 lavoratori nei mesi invernali per far ghiacciare l’acqua lungo tutto il percorso e riuscire quindi a trasportare i blocchi di pietra.

Questa segreta strada di ghiaccio svelerebbe un metodo ingegnoso per trasportare masse attraverso tragitti più o meno impervi, come i 70 km in questione.
Questo metodo sembrava essere conosciuto in Cina, ma per la difficoltà della sua messa in atto, era rarissimo e forse è per questo che le fonti più diffuse non ne fanno menzione.
La cava ai tempi della costruzione della Città Proibita si trovava fuori dai confini della città di Pechino, e questo rende l’impresa assai notevole.
Se le teorie del team trovassero definitiva conferma, saremmo davanti un piccolo capolavoro di ingegneria antica, taciuto per secoli, scomparso dagli annali proprio come il ghiaccio scompare con l’arrivo del primo sole primaverile.

FONTE: BBC News China
FOTO: ben smethers.co.uk

Chiara Mastronardo

giovedì 26 settembre 2013

Il MAXXI linguaggio della contemporaneità


A Roma, il MAXXI è un’istituzione che stenta a farsi riconoscere il ruolo che le spetterebbe.
Nato per essere un museo di arte e architettura contemporanee, la sua è una struttura importante e che affascina, progettata da Zaha Hadid.
Questo binomio arte-architettura ha trovato finalmente un grande direttore artistico in Hou Hanru (侯瀚如).


Cinese di origine, vive tra Parigi e San Francisco, ed è stato curatore di numerose Biennali come quella di Venezia e di Shanghai.
Hanru ha stupito la Fondazione MAXXI con le sue proposte, tanto innovative da portare i dirigenti a sceglierlo come nuovo direttore artistico del museo fra venti candidati di fama internazionale.
“Il MAXXI è ancora un meraviglioso fiore che deve sbocciare”, queste le sue parole ai giornalisti dopo l’ufficializzazione della nomina.
L’entusiasmo di questo critico e curatore traspare anche dalle scelte messe in atto per far diventare il museo un luogo di incontro e ricerca di stili, in un dialogo sempre costante col visitatore che già si trova avvolto dalle linee tonde e coinvolgenti della struttura fin dall’ingresso, per correre poi lungo corridoi di vetro e gettarsi infine in mostre moderne e contemporanee che gli fanno sempre scoprire qualcosa in più su sé stesso.


La comunicazione, in un così forte periodo di crisi, deve reinventarsi, per andare incontro all’uomo che si trova a dover fronteggiare le avversità di tutti i giorni: solo la cultura può aiutare questo processo, e la sfida è quella di riflettere sempre di più sulle opportunità offerte dall’arte contemporanea. Obiettivo di Hanru è quello del dialogo: museo come centro di ricerca e non solo come mero spazio da esposizione.
La sfida non è impossibile, e si spera che questo grande curatore di fama internazionale riesca nell’impresa.
A lui auguriamo di riuscire a riproporre il MAXXI di Roma in una veste tutta nuova.
Visitare per credere.

FONTE: Rainews24

Chiara Mastronardo

giovedì 25 luglio 2013

Quando Carl Orff incontra Shen Wei




Sono stati dieci, i minuti di applausi che hanno accompagnato la fatica partenopea dei sette ballerini della Shen Wei Dance Arts, al termine dello spettacolo diretto dall’artista “sensazionalmente fantasioso”, come lo ha definito il New York Times, Shen Wei (沈偉).

Nato nel 1968 nello Hunan da padre coreografo, oltre che amante dell’opera occidentale e della secolare arte della calligrafia orientale, e da madre produttrice teatrale, Shen Wei muove i suoi primi passi in un mondo etereo fatto di arte e musica.
Vincitore di una borsa di studio, si trasferisce a New York per studiare, e la sua sarà una parabola ascendente.
Nel 2008 torna in patria per dirigere e coreografare il segmento “Scroll” delle Olimpiadi di Pechino, sotto la regia generale dell’acclamato collega Zhang Yimou, ma il suo primo riconoscimento internazionale risale addirittura al 1994.
E questo artista non sembra essere mai sazio di Sapere, come ha dichiarato ai microfoni dei giornalisti, citando Confucio.

Dal 21 al 26 luglio Shen Wei dirigerà uno spettacolo visuale unico al Teatro San Carlo di Napoli, spettacolo in cui i ballerini da lui diretti eseguiranno coreografie su una musica che gli occidentali conoscono bene: i Carmina Burana di Carl Orff.
I trentadue ballerini del corpo di ballo sancarlino e i sette danzatori della Shen Wei Dance Arts si esibiranno su sfondi estremamente essenziali, cavallo di battaglia dell’artista cinese, mentre i cori verranno eseguiti dal Coro di Voci Bianche del Teatro San Carlo.
Il risultato di due anni di lavoro è strabiliante, la prima un successo.



La danza, per l’artista, è un linguaggio che né la musica né la parola possono sostituire.
La dedizione e l’impegno fusi in questo progetto altro non sono che spie di un’animo appassionato, che vede la danza come veicolo di emozioni e speculazioni.
La Ruota della Fortuna attorno cui girano i Carmina Burana di Orff è secondo Shen Wei un invito all’uomo contemporaneo a riscoprire l’essenziale, il trascorrere del tempo e delle stagioni, in un susseguirsi di assoli – musicali e scenici – che non hanno eguali, e che permettono di “toccare” la filosofia personale di un artista a tutto tondo, unico nel suo genere e importante voce di una nazione che cerca nell’arte quel singolo annichilito troppo spesso dal sistema.

Là dove l’improvvisazione trova addirittura libera uscita, in un mondo in cui spesso ogni movimento di un ballerino è invece codificato e studiato con attenzione, Shen Wei ci offre minuti di preziosa filosofia visiva, in uno spettacolo che mescola le nuove frontiere di Oriente e Occidente.

FONTE: RaiNews24, Teatro di San Carlo, L'Huffington Post

Chiara Mastronardo

martedì 9 luglio 2013

Zampe Sporche


Quello che è successo in Mongolia dall’inizio di maggio è una storia senza precedenti, dovuta forse alla crisi economica che ormai è diventata di portata globale.
La credenza che rare parti di animale abbiano poteri taumaturgici sembrava, se non estinta, ironicamente parlando, quantomeno indebolita.

La polizia di frontiera invece si è dovuta confrontare con un traffico prima sconosciuto, quello di zampe di orso bruno. La specie, che in Cina è protetta dalle leggi per la tutela degli animali, è stata messa a rischio da cacciatori di frodo e trafficanti che, uniti all’insegna del profitto comune, hanno dato la caccia agli esemplari e ne hanno amputato le zampe.
Ne sono state ritrovate 213, nascoste in un minivan che cercava di passare la frontiera fra Russia e Cina.



Se in Russia questi “rimedi” hanno un valore modesto, dalle zone della Mongolia in poi sono ricercatissimi, arrivando a costare quasi dieci volte tanto: un profitto notevole, per questi commercianti nomadi improvvisati.
A far scoprire il carico illegale è stato il nervosismo del conducente del pulmino, che, cosa che ha insospettito non poco la polizia di frontiera, controllava insistentemente l’orologio.
Al giorno d’oggi si penserebbe a carichi illegali di droga, perciò la sorpresa da parte delle autorità è stata tanta quando sono stati rinvenuti gli arti mozzati agli animali.

Zhang Xiaohai, un ufficiale della Animals Asia Foundation, ha detto ai microfoni dei giornalisti che il traffico di parti di animali rari è raddoppiato negli ultimi due anni.

In quella zona della Mongolia, Manzhouli, ha inoltre preso piede l’usanza di regalare zampe d’orso per eventi particolari, o di usarli come ingredienti speciali nella cucina tradizionale.
Ci sono ancora parecchi dubbi su chi possa permettersi regali tanto costosi, o pietanze tanto prelibate, vista la crisi che sembra risparmiare solo poche zone della Cina, ma tant’è.

Al momento i due trafficanti russi sono detenuti in Cina, in attesa del processo. Il loro guadagno si sarebbe aggirato intorno ai 2000 rubli per kg se avessero venduto la merce in Russia; in Cina lo stesso kg vale invece circa 5000 yuan.
L’epilogo del loro viaggio è stato nettamente diverso da quello che si aspettavano.

Ad oggi, questo è il più grosso traffico del genere in territorio cinese, ed è diventato presto un caso mediatico che ha portato le tv nazionali ad interessarti anche delle “bear farms” e della loro gestione.

FONTE: BBC News China, CCTV
FOTO: Chinanews.com

Chiara Mastronardo

giovedì 4 luglio 2013

War games?

  
Ha un nome fantascientifico e ricorda ai più il supercomputer di “War Games” il Tianhe-2, il computer più potente al mondo che in breve tempo ha scalato la lista Top 500, superando colleghi “cervelloni” come il Titan americano o il K computer giapponese.

Il Tianhe-2 non era atteso prima del 2015, e il fatto che i tecnici cinesi della National University Defence Technology siano riusciti a consegnare il sistema operativo due anni prima della data stabilita ha dell’incredibile – gli stessi tecnici hanno ammesso che l’avvenimento è sorprendente.

E sorprendente è anche la velocità con cui questo computer svolge i suoi calcoli: 33.86 petaflop/sec, l’equivalente di 33,860 trilioni di calcoli al secondo.
Il Tianhe-2 si configura nel progetto del Governo Cinese di competitività dell’industria tecnologica interna, l’obiettivo è quello di rendere più competitive le industrie locali e il Paese meno dipendente da tecnologia estera – nello specifico americana.
Infatti, anche se alcuni componenti sono di industrie rivali (il Tianhe-2 utilizza un processore Intel Ivy Bridge), Jack Dongarra dell’University of Tennessee ammette che il supercomputer è decisamente unico nel suo genere.
Fra le altre cose, il network è originale, e il sistema operativo è Kylin, che prende il nome da una mitica bestia orientale conosciuta all’estero come “Unicorno cinese”.

Sulla carta, Tianhe-2 è due volte più potente del numero due della Top 500, l’americano Titan: la tecnologia cinese ha fatto passi da gigante, se si pensa che il Tianhe-1A oggi è al decimo posto della lista.

Nonostante questo, la Cina non è il paese con più supercomputer, anzi, ne ha persi alcuni, convogliando tutte le sue forze sul progetto del Tianhe-2.
L’America possiede 252 macchine, la Cina ad oggi 66 (mentre prima il numero era di 72); seguono Giappone con 30, UK con 29, Francia con 23 macchine e Germania con 19.

Il Tianhe-2 verrà utilizzato dal Governo nell’ambito della difesa, oltre che per controllare cambiamenti climatici e immagazzinare informazioni utili a diverse organizzazioni nazionali.

FONTE: BBC News China

Chiara Mastronardo