giovedì 11 novembre 2010

Il premio Nobel Liu Xiaobo

IL SIMBOLO DI UN NOBEL,
LIU XIAOBO E LA CINA

Liu Xiaobo è una delle figure più importanti della storia della Cina degli ultimi venti anni.
Nasce nel dicembre del 1955 a ChangChun, nel Nord-est della Cina; è uno scrittore e sostenitore della difesa dei diritti umani sulla scena nazionale del suo Paese.
Lo scorso 8 ottobre gli è stato conferito il Premio Nobel per la Pace per “i suoi sforzi costanti e non violenti in favore dei diritti dell’uomo in Cina”.
La reazione del governo cinese è immediata e decisa: “Quel premio è stato dato ad un criminale”. Da un anno, infatti, Liu sta scontando una condanna ad undici anni di reclusione in una prigione del Nord-est della Cina.
La presa di posizione del governo cinese è ferma, ma l’impedimento alla consegna del premio non può non scatenare polemiche che portano molte nazioni alla difesa di quella voce discordante che si è sempre battuta per la libertà d’espressione per il proprio popolo, voce che ha fatto di Liu il vincitore del Premio RSF (Reporters sans frontieres) 2004 per la libertà di stampa.

Liu Xiaobo è uno dei più grandi oppositori e sostenitori di cambiamenti politici all’interno del Partito Comunista.
Impegnato in una rivolta non violenta a tutela dei diritti umani in Cina, Liu fu arrestato e condannato più volte per la sua attiva partecipazione ad azioni pacifiste, la rivolta di Tiananmen per prima dove, secondo il Partito Comunista Cinese, fu una delle “mani nere” che manovrarono gli studenti nella rivolta, e nel 1991 fu condannato con l’accusa di “propaganda ed istigazione controrivoluzionarie”, ma senza essere incarcerato.
Dopo tre anni in un campo di “rieducazione attraverso il lavoro”, continuò a criticare il regime autoritario con saggi ed articoli che vedranno pubblicazioni anche all’estero, determinando la loro diffusione clandestina in Cina.
In ricordo del 60° anniversario della proclamazione della Dichiarazione universale dei diritti umani, il 10 dicembre 2008, egli sarà il promotore di “Charta 08”, un appello alla libertà di espressione, al rispetto dei diritti umani e alle elezioni libere.
Per questa adesione e promozione di riforme politiche volte alla democratizzazione della Repubblica Popolare Cinese, verrà arrestato nel dicembre 2009 con l’accusa di “incitamento alla sovversione del potere dello Stato” ad undici anni di prigione e due anni di interdizione dai pubblici uffici.

“L’onore appartiene a chi ama la libertà” afferma l’artista cinese di fama mondiale, Ai Weiwei, cogliendo il fondamento stesso dell’assegnazione del Premio Nobel per la Pace rivolto a tutte le ”persone che hanno promosso la fratellanza tra le nazioni, l’abolizione o la riduzione degli armamenti e che si sono sforzate di promuovere iniziative di pace”.
A sostegno di questi principi, il Comitato per il Nobel ha manifestato le proprie motivazioni nella seguente dichiarazione: “Durante gli ultimi decenni la Cina ha fatto enormi progressi economici, forse unici al mondo, e molte persone sono state sollevate dalla povertà. Il Paese ha raggiunto un nuovo status che implica maggiore responsabilità nella scena internazionale, che riguarda anche i diritti politici. L’articolo 35 della Costituzione cinese stabilisce che i cittadini godono delle libertà di associazione, di assemblea, di manifestazione e di discorso, ma queste libertà in realtà non vengono messe in pratica (…). Per oltre due decenni Liu è stato un grande difensore dell’applicazione di questi diritti, ha preso parte alla protesta di Tiananmen nell’ ’89, è stato tra i firmatari ed i creatori di Charta 08, manifesto per la democrazia in Cina. Liu ha costantemente sottolineato questi diritti violati dalla Cina. La campagna per il rispetto e l’applicazione dei diritti umani fondamentali è stata portata avanti da tanti cinesi, e Liu è diventato il simbolo principale di questa lotta”.

In risposta a tale comunicazione, il governo cinese ha sentenziato che “si tratta non solo di mancanza di rispetto verso il sistema giudiziario cinese, ma mette anche un grosso punto interrogativo sulle loro vere intenzioni (…). Qualche politico sta cercando di sfruttare il premio per attaccare la Cina. Se qualcuno cerca di cambiare il sistema del nostro Paese in questo modo, commette un grave errore”.
Fattivamente, e parallelamente, il governo ha imposto un black out informativo sulla notizia, inviando note a tutti gli organi di stampa affinchè non si parlasse dell’evento e, di conseguenza, a telegiornali, siti Internet e giornali.
La censura è attivamente denunciata dai Reporters sans Frontieres come grave insulto all’internazionalità del Premio Nobel per la Pace.
Il portavoce del Ministero degli Esteri cinesi, Ma ZhaoXu, sostiene che “Liu Xiaobo è un criminale condannato dal sistema giudiziario cinese perché ha infranto le leggi del Paese”.

Le notizie trapelate sulla vittoria di Liu sono opera dei netizen cinesi che, al momento della proclamazione, hanno invaso Twitter e, in pochi secondi, hanno scatenato una reazione a catena di commenti e condivisioni di posts che dimostrano come, per molti, il significato rivelante che ne risulta è la possibilità di un futuro migliore.
Lo è per gli studenti, per i lavoratori, per gli stessi dissidenti interni alla Cina ed esterni.
Sono significativi, infatti, gli interventi, tra i primi, di Ai Weiwei, il quale dichiara che “per il popolo cinese è il giorno più bello da sessanta anni ad oggi (…). L’onore appartiene a chi ama la libertà, agli amici, ai familiari, ai colleghi di Liu, amato anche dalle forza anti-cinesi”; o ancora di Renee Xia, responsabile internazionale di Chinese Human Rights Defender, la quale è euforica nel dichiarare che “il premio è un riconoscimento non soltanto per Liu, ma per tutti i difensori dei diritti umani in Cina che ora aspettano di essere liberati”; dell’attivista pechinese tra i firmatari di      Charta 08, Zhang ZuHua, che chiede riforme pacifiche al governo cinese: “è stato come rendere omaggio a tutti i prigionieri di coscienza e ai migliaia di cinesi che hanno avuto il coraggio di firmare quel documento”; di Wei Ping, attivista e professore alla Beijing Film Academy, che reclama “Liu non ha sofferto invano, l’intero mondo è con lui e con tutti i prigionieri di coscienza in Cina”.
Dall’estero la voce risuona vicina al pensiero dei più, e così Harry Wu, creatore della Fondazione Laogai, associazione volta a diffondere informazioni sui campi di rieducazione attraverso il lavoro, dichiara che “è tempo che Pechino liberi Liu e ascolti le sue proposte di cambiamento”.
Le ultime due voci che, per importanza, confermano il contrasto che tale decisione ha scatenato, sono quelle di Teng Biao, avvocato democratico attivo in Cina, e Fu Ying, viceministro degli Esteri, il primo convinto che “il premio incoraggerà sicuramente la società civile della Cina e sempre più gente si batterà per la pace e la democrazia. E’ un aiuto per la Cina nella costruzione di una società pacifica, democratica e basata sulla legge”; e la seconda che, al contrario, teme un peggioramento delle relazioni tra Cina e Norvegia. Alcuni mesi fa, infatti, il viceministro cinese avvertì il capo dell’Istituto Nobel che il conferimento a Liu del premio avrebbe danneggiato la relazione tra le due nazioni.
“Non voglio dare troppa importanza alla cosa” ha affermato il ministro degli Esteri norvegese Jonas Gahr Stoere, “ma non è un segreto che la Cina da anni lancia avvertimenti che un Nobel per la pace ad un dissidente cinese avrebbe portato a relazioni negative”.
Il ministro ha, ciononostante, riconosciuto che l’assegnazione del premio al dissidente cinese non avrebbe dovuto causare reazioni ostili da parte di Pechino contro la Norvegia, dal momento che “il Comitato per il Nobel è indipendente dal governo norvegese”.
A conferma del vicendevole legame che unisce i due Paesi, aggiunge: “La Norvegia ha una buona ed estesa cooperazione con la Cina. Le nostre relazioni sono solide, e coprono tutte le aree che collegano i nostri Paesi. Le discussioni sui diritti umani è una parte delle nostre relazioni”.




La Norvegia conferisce il premio Nobel per la pace, la Cina si chiude, i cinesi si dividono: il governo censura ed il popolo si ribella, alcune nazioni e le associazioni umanistiche rivendicano la libertà degli individui.
Una lotta senza interruzione quella per i diritti umani, e non solo in Cina.
Tra le associazioni operative in campo, Amnesty International approva l’assegnazione del premio: “Il premio Nobel per la pace a Liu Xiaobo è un riconoscimento importante. Speriamo che terrà accesi i riflettori sulla lotta per le libertà fondamentali e per i diritti umani per cui Liu Xiaobo e altri attivisti cinesi si battono”, asserisce Catherine Baber, vicedirettrice del Programma Asia Pacifico dell’associazione.
I diritti alla vita, alla sicurezza della propria persona, alla libertà di pensiero, di opinione e di religione, sono, da anni, tra i temi più discussi e con più discussioni, soprattutto. Ma torniamo in Cina.
Liu, in un articolo per Reporters sans Frontieres, nel marzo 2004, ha scritto: “I media elettronici in Cina e all’estero aiutano a superare la censura imposta dal Partito Comunista Cinese (…). In questo gioco di divieti, risposte ed ulteriori divieti, lo spazio della gente per il diritto di espressione è in crescita millimetro dopo millimetro. Più la gente avanza, più le autorità diventano repressive. Non è lontana l’epoca in cui la frontiera della censura potrà essere abbattuta e la gente domanderà pubblicamente la libertà di espressione”.
L’articolo 33 della Costituzione cinese enuncia che lo Stato garantisce e tutela i diritti umani; l’articolo 35, di seguito, stabilisce che i cittadini godono delle libertà di associazione, di assemblea, di manifestazione e di discorso. Quanto di tutto ciò è rispettato e fatto rispettare?
C’è, allora, da interrogarsi circa il livello d’attenzione che la Cina pone nei confronti di questo problema e quale spessore gli è attribuito all’interno della propria dimensione sociale.
Quella della Cina è l’opinione di un Paese in cui ciò che conta è la supremazia della comunità sull’individuo, motivo per cui è più ampia la tolleranza verso limitazioni e disagi del singolo quando ciò non mina l’equilibrio e l’assetto della società stessa.
Da questo punto di vista la questione non è inaccettabile, ma diversa.
Nel 1948 si compie un primo passo importante: viene firmata la Dichiarazione universale sui diritti umani.
La formulazione sancisce i diritti individuali, civili, politici, economici, sociali, culturali che puntino ad assicurare un benessere collettivo e diffuso, diverso è garantire la funzionalità di tali difese anche per aspetti individuali.
A questo proposito molti sono gli sforzi che la Cina ha compiuto per adeguarsi ai nuovi standard internazionali.
Sono state approntate riforme del codice penale e del codice civile, formulate leggi su diversi temi quali la lotta alla corruzione, la legislazione in materia di abuso di potere e di giustizia amministrativa, correttezza di processi, tutela delle minoranze etniche e linguistiche.
Molte, anche, sono le iniziative di sensibilizzazione sulla tematica della protezione dei diritti civili e politici.
Sicuramente è stato di aiuto, a questo grande traguardo, la strategia di cooperazione che l’Unione Europea e la Cina hanno approvato a partire dal       1 aprile 2002. E’ nato un dialogo, tra le due nazioni, che ha accompagnato i vari processi nei campi economici, politici, ma anche sociali.
L’Europa è particolarmente sensibile alla questione del rispetto dei diritti umani e, come in ogni relazione scambievole, l’uno preme l’altro affinchè si trovi un compromesso che porti vantaggio ed efficienza al legame.
La Cina è in continua crescita, avanza sotto lo sguardo attento del mondo. Si sviluppa, si ingrandisce, e si affaccia con impeto sulla scena internazionale. Spesso si troverà a scontrarsi sulle grandi questioni che, come quella sui diritti umani, vedono schierati quasi tutti i grandi Paesi in difesa di un unico principio.
La diversità del Paese di Mezzo dal resto del mondo non lo faciliterà nei rapporti con le altre nazioni, ma c’è pur sempre un prezzo da pagare se si vuole raggiungere un difficile obiettivo.
Disse Confucio: “Se si guida con le leggi e si mantiene l’ordine con i castighi, il popolo si asterrà dalla colpa, ma non avrà coscienza alcuna; se si guida con la virtù e si mantiene l’ordine per mezzo della morale, il popolo, allora, avrà coscienza”.                                                                                                                     

Federica Agnese

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